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La maggior parte del valore intrinseco è nell'involucro (che buttiamo nella spazzatura): come gli antichi che "mangiavano la scorza e buttavano i fichi"

Perché le multinazionali siano tante interessate alle acque umbre, come sta dimostrando la vicenda del Rio Fergia, lo spiega un lungo articolo apparso nei giorni scorsi su “Repubblica” che mette in evidenza come l’acqua minerale in bottiglia costi almeno 300 volte più di quella del rubinetto. Massimo costo per l’acqua degli acquedotti: 80 centesimi a metro cubo, mentre in bottiglia sale a 250 euro.
L’acqua al rubinetto la paghiamo 60-80 centesimi a metro cubo, che equivale a mille litri. L’acqua minerale 40 centesimi per una bottiglia di 1,5 litri (al supermercato, si intende, perché al bar l’unico limite è la faccia tosta del gestore). Cioè 25 centesimi al litro: 250 euro a metro cubo.
Non è l’acqua che paghiamo tanto: nei 40 centesimi della bottiglia del supermercato, la materia prima, l’acqua, vale oggi, al massimo, 25 centesimi di centesimo. In realtà paghiamo la plastica della bottiglia, il gasolio per trasportarla, gli spot per pubblicizzarla. I due terzi dei costi sono per la plastica delle bottiglie e un altro 12% è marketing e pubblicità.
Anche gli imbottigliatori però si lamentano: “i profitti lordi – dicono – sono, in media, intorno al 4% del fatturato”. In molti settori industriali si guadagna di più. Considerando che la materia prima non costa quasi nulla, è un risultato sorprendente. Oppure un paradigma della società dei consumi, in cui la vera merce sono l’involucro (la bottiglia) e l’immagine (la pubblicità), conclude “Repubblica”.

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