Quando si parla di crisi idrica spesso l’accento si pone sugli sprechi: sia quelli privati che quelli pubblici derivanti dalle perdite di reti colabrodo. Nella relazione al Consiglio Regionale dell’Umbria il presidente della Seconda Commissione Tomassoni ha fornito dati sui consumi di acque minerali che suscitano perplessità.
“Nel 2006 si è registrato un consumo complessivo pari a un milione trecentomila metri cubi che corrispondono a una portata media di 41,7 litri/secondo di acqua minerale utilizzata per il processo di imbottigliamento. Confrontando questo dato con i volumi realmente imbottigliati si evince che l’acqua utilizzata nel processo di produzione è pari a circa il 13,8 per cento di tutta quella prelevata, contro il 16 per cento calcolato nel 2005. La riduzione degli sprechi è determinata dall’ammodernamento degli impianti e dall’ottimizzazione dei processi produttivi, conseguenza dell’introduzione del canone sui consumi.
Il prelievo complessivo di acqua minerale per l’imbottigliamento rappresenta lo 0,58 per cento dei prelievi autorizzati da corpi idrici sotterranei che è pari a 7mila 143 litri/secondo. In relazione ai canoni, il presidente Tomassoni è stato vago limitandosi a precisare quanto già si sapeva “il Tavolo tematico delle Regioni, cui ha partecipato anche l’Umbria, ha deciso che essi dovranno oscillare da 1 a 2,50 euro ogni mille litri o frazione di imbottigliamento e da 0,50 a 2 euro ogni mille litri o frazione di risorsa utilizzata o emunta. Il canone di superficie non potrà essere inferiore a 30 euro per ettaro o frazione di esso. La Regione Umbria, con la legge regionale 38/2001, aveva già introdotto a carico dei concessionari un diritto annuo pari a 0,50 euro per ogni mille litri di acqua minerale comunque utilizzata per l’imbottigliamento. Erano anche stati adeguati i canoni di superficie portando, sia quelli per le concessioni, che quelli per i permessi di ricerca, a 590 euro per ettaro o frazione di esso.”
L’aumento, non detto ma solo supposto, dei canoni umbri non ha trovato il sostegno di Fiammetta Modena (FI). “L’aumento dei diritti annui, che dovrebbero servire a garantire la qualità dei bacini, non ci vede d’accordo: siamo di fronte ad un bene già gravato di tasse e balzelli, che andrebbero invece eliminati”.
Più critico, sull’altro versante, Oliviero Dottorini (Verdi e Civici) per il quale “il dato più evidente è che aumentano i prelievi da falde e sorgenti, quindi maggiore produzione, ma non aumentano i posti di lavoro.
Rispetto ai parametri stabiliti dal Tavolo tecnico delle Regioni ci posizioniamo nella parte più bassa e questo rende necessario un aumento dei canoni di concessione. Bisogna raddoppiarli. Chi imbottiglia l’acqua non può spendere la metà rispetto al cittadino che la utilizza per scopi domestici. I maggiori introiti provenienti dall’aumento dei canoni di concessione, andrebbero poi usati per pubblicizzare la bontà e la sicurezza dell’acqua che sgorga dai rubinetti, come stanno facendo i sindaci di New York e di Roma”. Cauto ma sostanzialmente d’accordo coi Verdi Pavilio Lupini (Prc-Se).
- Redazione
- 19 Luglio 2007
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