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Rifondazione Comunista inzia a differenziarsi coll'ammettere che c'è anche una questione morale

Sembra sia passato il tempo dell’arroccamento unanime dei politici umbri sul problema dei “costi della loro politica”. E qualcuno incomincia ad interrogarsi se veramente l’elettorato umbro sia insensibile a questioni “ morali”. Non è escluso che le vicende elettorali recenti (Todi, Deruta, Bettona) abbiano fatto comprendere che sono proprio le forze di maggioranza quelle più esposte a contraccolpi quando l’umore degli elettori è “nero” verso tutti.
Il primo a venire allo scoperto con riflessioni e proposte è Rifondazione Comunista che pur rivendica una sua peculiarità ed i risultati accettati per far fronte al “pericolo referendum”. “Per quanto riguarda Rifondazione – spiega Vinti, il capogruppo in Consiglio regionale dell’Umbria – tutti gli eletti (dagli europarlamentari ai consiglieri comunali) versano al partito il 55 per cento delle loro indennità nette mensili. Perciò in termini personali, con noi nessuno si arricchisce. Va ricordato che i consiglieri regionali umbri hanno ridotto la loro indennità di circa il 18 per cento e la riforma delle Comunità montane prevede anche il dimezzamento dei componenti delle giunte e il dimezzamento delle indennità spettante agli assessori”.
Ma ciò non sembra bastare ad una opinione pubblica scontenta ed allora l’analisi si fa più profonda, anche se manca ancora il passo decisivo che sarebbe costituito dalla presentazione di una concreta proposta di legge regionali sugli aspetti che riguardano e possono essere risolti in Umbria.
“Indiscutibilmente i costi impropri della politica si rivelano come una questione democratica, in quanto determinano i meccanismi che disciplinano l’attività politica, che consentono certi comportamenti e definiscono il modo di essere dell’agire politico. Questi meccanismi vanno cambiati radicalmente per recuperare i danni prodotti nel rapporto tra etica e politica, fra politica e opinione pubblica. La riduzione delle retribuzioni dei politici è importante, se non altro per dare un esempio a milioni di lavoratori, precari, pensionati in un momento di difficoltà del Paese. Ma non è sufficiente, occorre una radicale riforma della politica e della gestione della cosa pubblica: una politica senza tensione etica e morale non può essere ‘politica alta’, in grado di affrontare i problemi del Paese e di avviare processi riformatori.” Anche se “una democrazia forte e strutturata ha bisogno dei partiti. Senza i partiti non c’è democrazia. Sarebbe necessario, per un primo passo concreto nel senso della riforma della politica, ridurre il numero e le retribuzioni dei politici. Il numero dei parlamentari va dimezzato, va contenuto il numero dei consiglieri regionali (in Umbria occorre tornare da 36 a 30 consiglieri) con parametri oggettivi validi per tutte le regioni. L’istituzione del Consiglio delle autonomie locali (Cal) deve essere ridotto e svolto a titolo gratuito, evitando che siano piccoli senati al fianco dei Consigli regionali.
Ovviamente va bloccata ogni iniziativa di istituzione di nuove province, pertanto non è da prendere in considerazione una nuova provincia Foligno-Spoleto. Andrebbero definiti rapidamente i criteri per l’istituzione delle Comunità montane (in Umbria passeremo presto da 9 a 5). Inoltre, mentre non ha più senso mantenere in vita comuni con meno di mille abitanti, va perseguita con determinazione la semplificazione istituzionale, per ridurre enti pubblici e amministrativi (in Umbria arriveremo a quattro Ati, ambiti territoriali integrati)”.

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