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La tragedia ha turbato profondamente la vita della comunità locale: proviamo ad aprire una riflessione riepilogando i fatti
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La notte tra il 24 e il 25 maggio Barbara Cicioni, 33 anni, incinta di otto mesi, viene trovata uccisa nella sua abitazione di Compignano. A dare l’allarme è il marito Roberto Spaccino che, rientrato dopo la mezzanotte, trova la casa a soqquadro e la moglie senza vita sul pavimento della camera da letto. I due figli della coppia, di otto e quattro anni, dormono nella stanza accanto. Cominciano da quel momento giornate di incubo, dolore, incredulità e, ovviamente, indagini. In poche ore tutto finisce nel vortice mediatico nazionale, rimandando spesso un’immagine distorta dei fatti e della stessa comunità locale.
Inizialmente l’ipotesi accreditata è di una rapina, simile a quella portata a termine nella stessa casa poco tempo prima.
L’attenzione di cittadini e istituzioni si focalizza dapprima sul problema della criminalità, affrontato il giorno stesso dal Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza. E mentre vengono lanciate accuse contro gli extracomunitari, gli inquirenti lavorano alla ricerca di prove e riscontri. Il 28 maggio arrivano i risultati dell’autopsia: Barbara è morta per “insufficienza cardiorespiratoria alla cui produzione hanno concorso numerosi meccanismi traumatici…”. Prende consistenza il sospetto che ad uccidere non sia stato un ladro ma qualcuno vicino alla vittima.
Il 29 maggio è il giorno dei funerali, celebrati nella chiesa di Morcella, paese natale della vittima che accoglie, insieme a una folla mai vista nella piccola frazione, Barbara e la piccola Viola, la bimba che sarebbe dovuta nascere da lì a qualche settimana. Dietro quell’unica bara mancano però il marito e il papà, Roberto, tratto in arresto poche ore prima nella caserma dei carabinieri di Marsciano per “omicidio volontario aggravato (futili motivi, crudeltà verso la vittima, rapporto di coniugio) per aver cagionato la morte della moglie Barbara Cicioni, maltrattamenti nei confronti della medesima e dei figli minori, calunnia nei confronti di ignoti, simulazione di reato”. Chiuso in isolamento nel carcere di Capanne, Spaccino è convocato davanti al Giudice delle indagini preliminari il 1 giugno, ma si avvale della facoltà di non rispondere.
Marsciano resta prigioniera per una settimana di un assedio mediatico soffocante, con anticipazioni e smentite circa altri indagati ed un’attesa crescente per le analisi di laboratorio dei Ris. Tutto è passato al setaccio: la villetta rosa, l’auto di Spaccino, i reperti trovati sul cadavere, la vita di Roberto e di Barbara. Viene anche disposto l’esame del DNA sulla piccola mai nata, mentre i legali dell’accusato chiedono la scarcerazione del loro assistito.
Piano piano gli inviati dei giornali se ne vanno, le telecamere si spengono e la notizia scompare dalle prime pagine e dai titoli dei tg. Quel Dio che durante l’omelia funebre sembra non possa far altro che tacere, probabilmente, guarda inorridito questo mondo, dove l’unica cosa degna di umanità è la sete di verità prima e di giustizia terrena poi. Tutto il resto è cronaca. E, purtroppo, neppure della migliore, visto l’esasperato accanirsi sul sangue e l’assenza di pulsioni di cuore per quei due bambini che cresceranno nel ricordo di una vita turbata all’improvviso nel sonno.

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