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La piccola comunità è incredula e sgomenta per il delitto di Barbara Cicioni e l'arresto di Roberto Spaccino e non strana e omertosa come descritta dai giornalisti da una settimana in giro per Marsciano in cerca di scoop


Sono passati sette giorni
da quello che è stato definito “l’orrore di Compignano”, che ha saputo spezzare la serenità di un territorio come il peggiore dei tornado. Come compignanese ho ascoltato, letto, visto servizi televisivi. Sono stata in silenzio con i miei pensieri e decido oggi di descrivere uno stato d’animo che credo accomuni diversi compaesani.
Faccio parte della generazione di Roberto, dei due gemelli Spaccino come li chiamavamo in paese. Siamo cresciuti nella stessa piazza, ci siamo ritrovati a soffiare negli strumenti della banda musicale quasi quindici anni, abbiamo condiviso diversi momenti in “quel paese di quattro case” di cui siamo tutti orgogliosi di far parte. Quel gruppo di case che leggo ancora oggi sui giornali sembra vogliano difendere “l’assassino”, quel gruppo di case dove secondo i giornalisti calati da ogni parte si cresce “a pane e violenza” e dove ci si “nasconde dietro le persiane” per omertà.
Quello che invece trapela dalle finestre chiuse è l’incredulità e lo stordimento di un paese, di una comunità di trecento anime, di una grande famiglia allargata. Il non poter e voler credere a quello che è successo. Il rifiutare l’idea che lo stesso ragazzo sceso in campo pochi giorni prima in un torneo di calcetto paesano possa aver commesso un tale scempio. Un gesto che non si può neppure descrivere come “un attimo di mancata lucidità”. Perché a leggere le accuse si viene a sapere che quella lucidità mancava da anni.
E’ questo che non si riesce a comprendere. E’ questo che spaventa tutti. Tutti quelli come me che seppur crescendo, sposandosi e abbandonando la vita sociale del paese, si immaginava un presente sereno per tutti. Una famiglia, i figli, un’attività avviata. Motivi per i quali, rincontrandosi sporadicamente, si poteva mostrare un sorriso. Sorriso che adesso è difficile leggere nei visi dei compignanesi, stanchi di essere presi d’assalto dalle telecamere in cerca di una battuta, di un facile piccolo becero “scoop” da rivendere come notizia del giorno.
Non si scandalizzino i giornalisti di fronte alle persiane chiuse alle riprese. La gente semplice, contadina, “schietta” come c’è dalle nostre parti non corre tutta davanti alla caserma dei carabinieri con i figli piccoli in braccio per godersi non si sa quale spettacolo. La gente vera non parte per i tour alla scoperta di macabri spettacoli né si aggira agghindata nelle piazze per far mostra di sé in televisione, come se fosse nel peggiore dei reality. La gente seria, non omertosa, non ama dire quello che fino a sette giorni fa neppure immaginava. La gente semplice desidera solo l’accertamento della verità. Per poter girare pagina, provare a metabolizzare la tragedia e riprendere una “vita di paese” che, comunque siano andate le cose, non potrà più essere la stessa.

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