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Il consumatore spende di più e l'agricoltore guadagna di meno
ortaggi

Flessioni dei prezzi agricoli” sul campo” e rialzi al consumo: più 3,5 per cento gli ortaggi e più 4,9 per cento per la frutta. E’ quanto fa notare, sottolineandone l’ingiustificata ragione, la Cia-Confederazione italiana agricoltori a commento dei dati Istat sull’inflazione del mese di aprile. All’origine i prezzi pagati agli agricoltori hanno fatto registrare in media un meno 3,5 per cento nel primo quadrimestre di quest’anno rispetto all’analogo periodo del 2006. Per gli ortaggi è stato un vero crollo (meno 16,5 per cento), mentre per la frutta il calo è stato più contenuto, ma sempre notevole (meno 6,4 per cento). Tra aumenti al consumatore e diminuzioni dei prezzi agli agricoltori la forbice si è così allargata che presto diventerà conveniente, dopo il turismo culturale anche quello colturale. Dal campo alla tavola -sottolinea la Cia- ci sono incrementi assurdi: il prezzo aumenta anche di otto-nove volte. Nei week end perciò sarà sempre più possibile vedere gli italiani avventurarsi nei campi per portare a casa, a prezzi contenuti sempre ché gli agricoltori non si lascino abbacinare da guadagni esagerati “una tantum”, la scorta di “vitamine” per tutta la settimana in una sorta di “strada della verdura”.
Con le temperature elevate invernali e primaverili la maturazione delle produzioni si è concentrata ed accavallata, senza la naturale “scolarità” che si verifica normalmente. E’ così rimasta invenduta molta produzione orticola (lattuga, finocchi, carciofi, spinaci, cavoli e melanzane), mentre anche diversa frutta (soprattutto arance, mandarini e clementine) non ha trovato sbocco sul mercato. L’ortofrutta -sottolinea la Cia- non è l’unico settore con quotazioni all’origine in calo. Diminuzioni si hanno per i cereali (meno 0,5 per cento), per i bovini (meno 1,3 per cento), per i suini (meno 5,5 per cento), per gli avicoli (meno 6,8 per cento). Un comparto, quest’ultimo, che ancora non riesce a venire fuori dalla psicosi dell’influenza aviaria. In controtendenza troviamo il vino (più 3,5 per cento), l’olio d’oliva (più 4,3 per cento) e il latte e i suoi derivati (più 1,0 per cento).

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