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Una valida esperienza di raccolta, economica, porta a porta dell'immondizia, snobbata dalle istituzioni locali che appaltano ai privati le gestioni
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Se c’era bisogno di dimostrare che la “privatizzazione” dei servizi pubblici può forse ottimizzare economicamente, a spese degli utenti quando occorre, la gestione ma non innovare, anche a costo zero, come sarebbe necessario, il recente convegno di Orvieto a dato risposte esaurienti su tale problema, ma anche su un altro non meno importante. Le istituzioni, con l’affidamento a terzi dei servizi pubblici, si disinteressano dei problemi, come se la “privatizzazione” sia un modo per “scaricare grane” e per avere capri espiatori quando queste rischiano di tornare indietro come boomerang.
Il convegno di Orvieto si è svolto nel disinteresse pressoché generale tanto che, sulla stampa locale si è parlato di “un assordante e deprimente silenzio”. Dei tanti invitati erano presenti solo l’assessore all’Ambiente della Regione Umbria Bottini e due o tre amministratori locali. Eppure il problema all’ordine del giorno era importante per tutta l’Umbria. La raccolta differenziata dei rifiuti ammonta nella nostra regione solamente al 24,2%. Il 45% è il dato da raggiungere entro il prossimo anno 2008, prescritto dal D.gls Ronchi (22/97): mentre l’eco tassa incombe assai minacciosamente e la quantità di rifiuti prodotti cresce inesorabilmente del 2 – 3% ogni anno (dato medio nazionale) aggravando la situazione delle discariche e degli inceneritori. Problema ben presente all’assessore regionale che, vista la generale esigenza di non consumare più territorio in discariche ed i connessi problemi di salute delle popolazioni vicinore, ha comunicato il probabile inserimento, nel III piano regionale sui rifiuti, di una distinzione tra virtuosi e non virtuosi in materia di quantità di differenziazione effettuata: non verranno più erogati fondi a chi non riesce a raggiungere almeno il 35% entro il prossimo anno.
Qualche comune sta cercando soluzioni fai da te. Nel convegno è emerso che ad Acquapendente, con una raccolta porta a porta, pur iniziata con le sole risorse disponibili, si stanno però ottenendo apprezzabili risultati stimabili attorno al 40%.
Ma lo scopo del convegno era dimostrare che con un progetto integrato porta a porta, che coinvolga almeno 30mila famiglie è possibile: portare la raccolta differenziata a valori vicini all’ 80% (senza quindi intasamento di discariche o ricerca affannosa di nuove), non aumentare le tariffe e quindi i costi di chi collabora al raggiungimento del risultato ed come soprappiù, che nel caso non guasta, aumentare l’occupazione nell’attività di raccolta di quasi il 100% senza considerare l’attività indotta dalle maggiore disponibilità di materiale riciclato.
La dimostrazione di tutto ciò non era solo teoria di laboratorio, ma la conoscenza -spiegata ed illustrata da chi la vive – che si poteva acquisire di una realtà che funziona dal 2000 nel Trevigiano (il consorzio Priula): 23 comuni di 219mila abitanti e 85.500 famiglie e circa 10mila aziende. Qui la raccolta differenziata è balzata dal 27,18% del 2000 al 75,63% del 2005. Nello stesso periodo la quantità di rifiuti “alla rinfusa” prodotti da ciascun abitante è scesa da 321 a 89 annui. Tutto ciò con un aumento della tariffa media per famiglia, dal 2001 al 2006 di poco più di 4 euro annui. Di molto inferiore al tasso inflativo perché già nel 200 la raccolta porta a porta richiedeva un costo operativo di soli 74 euro (con 156 occupati), contro gli oltre 91 ad abitante richiesti dalla raccolta coi cassonetti stradali (con 86 occupati).

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