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Secondo i dati delle Camere di Commercio

Il RAPPORTO UNIONCAMERE 2007, fa la fotografia allo stato dell’economia italiana fino al 2006, e dà indicazioni anche sul primo trimestre di quest’anno. Dai corposi dati forniti emerge un’immagine che fa giustizia di tante polemiche. Abbiamo già esaminato ieri i termini generali della questione. In questa sede riteniamo utile riportare i dati e le previsioni delle Camere di Commercio in ordine al problema lavoro- salari. Rispetto al primo argomento viene evidenziato che c’è la “tendenza ad ampliare o (forse anche più di frequente) a rinnovare la forza lavoro disponibile tra le imprese del Nord-Est, da un lato, e del Mezzogiorno, dall’altro lato (con un’incidenza delle assumenti pari al 28% del totale). Rispetto allo scorso anno, le imprese del Nord-Ovest dichiarano con minor frequenza di voler intraprendere programmi di espansione occupazionale, con una probabile influenza negativa anche sul tasso di variazione complessivo dei lavoratori dipendenti.
Così come per gli andamenti di mercato, l’adozione di strategie aggressive (sul versante deiprodotti o dei mercati) implica, nel complesso, un impatto positivo in termini di domanda di lavoro, pur indipendentemente dall’entità e dalla tipologia della domanda stessa.
La quota di imprese assumenti nel 2007 sale infatti fino al 36% per quelle che hanno sviluppato nuovi prodotti o servizi e al 38% per le export oriented (che, crescono di numero nel 2006f ino a sfiorare il 14% del totale). Gran parte delle aziende del manifatturiero “tradizionale” (alimentari, arredamento, ceramica, vetro, metalli, beni per la casa, ecc.) ma anche aziende a medio e alto contenuto tecnologico(chimico-farmaceutico, gomma, elettronica) legano di frequente i programmi di assunzione (soprattutto se riferiti a profili di livello più elevato) allo sviluppo del mercato estero, dove sono sempre di più collocate in fasce di livello medio-alto e alto. Un comportamento leggermente diverso hanno le aziende metalmeccaniche, che, quasi da “apripista” del Made in Italy, sono impegnate per lo più nel mantenimento delle quote di mercato estere conquistate in passato, attraverso un continuo rinnovamento del mix di offerta per soddisfare i desiderata dei diversi target di clientela serviti: in questo, il capitale umano diventa la leva strategica da attivare sia per sviluppare nuovi prodotti, sia per consolidare efficienza produttiva e competitività di mercato.
Nel terziario vengono confermati i (possibili) fenomeni di integrazione o inter-relazione con le attività manifatturiere. Non a caso, l’orientamento a investire nel capitale umano avviene più di frequente fra le imprese che, per rispondere alle esigenze degli altri segmenti delle filiere in cui sono inserite (si pensi ai casi del commercio all’ingrosso e dei trasporti), sono sempre più impegnate nell’ammodernamento dell’organizzazione e dei servizi offerti ”
E’ forse per effetto del suddetto mix sempre più orientato a competere qualitativamente sul mercato che vengono rivalutate le figure in possesso di titoli di studio di livello secondario e universitario .
“In quest’ultimo segmento della domanda di lavoro, vale evidenziare per il 2007 un incremento delle assunzioni (+20.000 entrate circa) dopo la battuta d’arresto che aveva caratterizzato il 2006. Mostra una ancor più decisa dinamica di crescita la richiesta di diplomati (oltre 50.000 in più da un anno all’altro, contro un incremento di 18.000 unità tra il2005 e il 2006), mentre il più contenuto aumento dei fabbisogni di personale con un titolo pari allivello dell’istruzione e formazione professionale (+15.000 entrate tra il 2006 e il 2007) dovrebbe tradursi in una riduzione in termini relativi. I due segmenti della formazione professionale,“schiacciati” come sono tra la richiesta di diplomati e quella di figure senza alcun titolo oltrel’obbligo, non riescono pertanto ancora a farsi largo nelle preferenze degli imprenditori. Tale tendenza potrebbe essere letta come conseguenza di una domanda ora più orientata al livello secondario superiore (cui non si è accompagnato però un analogo “travaso” di richieste apartire dal livello formativo più basso, ossia quello della scuola dell’obbligo)”
Una contraddizione tra la volontà di affrontare le sfide e l’offerta di un “ legame fiduciario” ai lavoratori viene però dall’analisi del tipo di lavoro offerto “I dati riferiti alle assunzioni programmate per il 2006 evidenziano che la tendenza delle aziende nell’utilizzodelle diverse fattispecie contrattuali sembra muoversi sempre più nella direzione delle assunzioni a termine, a discapito di quelle a tempo indeterminato.
Rispetto ai programmi di assunzione formulati con riferimento al 2005, le entrate di personale a tempo indeterminato sono diminuite ulteriormente nel 2006, passando dal 50,0% al 46,3%.
Al contempo, le assunzioni di dipendenti a tempo determinato aumentano dal 29,2% del 2004 al 37,8% del 2005 e fino al 41,1% del 2006.
Il calo dell’impiego a tempo indeterminato è risultato nel 2006 più evidente tra le attività terziarie (dove passano in tre anni dal 57,7% al 48,9% e fino al 43,7%) e più contenuto nell’industria (in cui scende dal 59,4% del 2004 al 51,6% del 2005 e al 50,3% del 2006). Su scala territoriale, la tenuta delle assunzioni previste a tempo indeterminato è stata maggiore nelle imprese del Mezzogiorno (50,5%) e, sia pur in misura inferiore, in quelle del Nord-Ovest (48,5%), mentre è stata più limitata al Nord-Est e al Centro (42,4% in entrambi i casi).
I dati provvisori relativi al 2007 vedono una prosecuzione di tali tendenze, anche se a ritmi meno marcati: le assunzioni a tempo determinato dovrebbero crescere ancora e attestarsi intorno al 43% del totale, erodendo ancora qualche decimale ai contratti a tempo indeterminato (45,1%). Il fabbisogno complessivo medio annuo rapportato allo stock medio del periodo può esserestimato pari ad un valore positivo complessivamente pari al 2,7%, determinato per circa il 70% dalle possibili uscite per pensionamento e per circa il 30% dal saldo positivo atteso nel periodo.”
Le categorie di lavoratori che si renderanno più necessarie sono:Tecnici finanziari, commerciali, amministrativi con una necessità presunta di 76mila unità; Addetti ai servizi personali e di sicurezza (56,3mila); Tecnici delle scienze fisiche e di ingegneria (52,8mila); Specialisti aziendali, legali, delle scienze sociali (48,7mila). Ma il più grosso aumento percentuale della domanda si avrà per: Dirigenti d’azienda e imprenditori ( 6,0%);Specialisti scienze fisiche, matematiche e ingegneristiche (6,1%); Specialisti delle scienze della vita e della salute (5,4%); Specialisti dell’insegnamento (5,0%); Specialisti aziendali, legali, delle scienze sociali (6,8%);Tecnici delle scienze fisiche e di ingegneria(4,6%) e Tecnici delle scienze della vita e paramedici (4,9%).
“Stando ai più recenti dati statistici diffusi da Eurostat, i livelli dei salari italiani (al lordo delle tasse e dei contributi) si posizionano al quart’ultimo posto nella graduatoria dei Paesi europei, mentre i salari netti sono superiori solo a quelli portoghesi. La spiegazione di quest’ultimo fenomeno sta principalmente, secondo molti commentatori, in due fattori: il primo è rappresentato dall’elevato cuneo fiscale e il secondo dalla scarsa crescita delle retribuzioni reali che si è avuta nel corso di questi ultimi anni. Per quanto riguarda il cuneo fiscale, l’interpretazione appare univoca e generalmente condivisa da tutti gli analisti. Nel 2004 – primacioè della riduzione attuata con l’ultima Legge Finanziaria – l’entità del cuneo fiscale italiano era fra i maggiori in Europa; in questa speciale classifica, il Belgio stava al primo posto, seguito dalla Svezia, dalla Germania e, al quarto posto, dall’Italia. I dati Istat confermano innanzitutto che le retribuzioni in Italia sono aumentate relativamente poco, certamente meno di quanto siano aumentate nella media dei Paesi Europei e anche meno di quanto siano aumentate in alcuni periodi particolarmente felici per la dinamica salarialecome gli anni Settanta e Ottanta. In termini nominali, le retribuzioni unitarie, nei sette anni del periodo 2000-2006, sono aumentate in media del 3,1% all’anno.” Essendo il costo della vita aumentato del 2,4%, significa che, in termini reali, le retribuzioni medie sono aumentate di poco più di mezzo punto percentuale all’anno (+0,7%,)”
                                                                                                            

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