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A proposito della "malasanità" negli ospedali...
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La vicenda dei “clistere killer” all’ospedale di Todi è giunta ad una svolta. Sei, tra infermieri ed operatori della società esterna incaricata della conservazione e distribuzione dei farmaci e dei prodotti sanitari ai reparti ospedalieri e territoriali della Usl 2, sono stati rinviati a giudizio per omicidio colposo. Saranno processati per accertare se nella tragica vicenda la loro colpa è stata così grave da meritare una condanna, come ritiene la Procura della Repubblica.

Meritano sicuramente un ricordo le vittime, e il massimo rispetto i loro familiari, i quali umanamente si aspettavano di essere curate e possibilmente guarite e si sono affidate ad un sistema sanitario che ritenevano, appunto, affidabile ed immune da falle ed errori. La faccenda sarà, come è stata fino ad ora, compito di giudici, avvocati ed assicurazioni, ma sul banco degli imputati risalta ancora una grande assente: la politica sanitaria.

Sei persone, non solo una, avrebbero sbagliato. Non di un errore si sarebbe trattato, ma di una catena di errori. Il semplice calcolo delle probabilità e l’esperienza passata dovrebbero aver portato a riflettere su questa circostanza: “quasi impossibile a verificarsi”. Ma così non è stato e nessuno si interroga, almeno pubblicamente, se il tutto sia conseguenza di qualcosa di diverso e di maggiore della semplice disattenzione umana.

Nell’odierna sanità, compresa quella umbra, assillata dai costi sempre crescenti, come pure la domanda di prestazioni, l’imperativo è ridurre le giornate di ricovero dei pazienti, che il più delle volte significa trasferire semplicemente i costi a carico dei cittadini. Così bisogna fare tutto di fretta e quel tutto è sempre maggiore. Tra quel tutto vi sono una serie di adempimenti amministrativi richiesti dall’azienda sanitaria, per conoscere e valutare i comportamenti delle strutture. Adempimenti che però hanno finito per gravare esclusivamente sul personale sanitario e para-sanitario. Un malinteso senso di gelosia sanitaria misto a “operaismo”, mania accentratrice ed enfatizzazione oltre misura dell’assistenza territoriale, ha privato le strutture ospedaliere della presenza di operatori amministrativi di supporto, i quali davano anche la possibilità di avere una visione binoculare della realtà. E così tutto è ora a carico degli infermieri.

Il problema dei costi ha agito anche sul versante dei fornitori di medicinali e prodotti sanitari. Le confezioni: flaconi e scatole erano una volta diversi per forma e colore a seconda della loro destinazione. Sui barattoli contenenti sostanze pericolose campeggiavano teschi che mettevano paura a guardarli. Ora non più: per ridurre i costi, tutti i flaconi sono uguali e pure le etichette sono semplici variazioni grafiche di un modello. Tutto è affidato agli operatori che devono avere sempre più attenzione. Un po’ come gli acrobati al circo e senza rete.

La rete è stata tolta quando si è pensato che la distribuzione dei farmaci ai reparti fosse una semplice operazione di magazzino appaltabile all’esterno. Un esterno lontano e del tutto inconsapevole delle attività dei reparti che andavano a rifornire: un medicinale è un codice e null’altro. Il farmaco è invece una componente essenziale dell’assistenza. Dovrebbe, tutta la catena, stare nel “core business” dell’azienda, per parlare nel linguaggio dei novelli “capitani d’industria” come spesso amano atteggiarsi alcuni dei massimi dirigenti della sanità. E per il core business dovrebbe valere il principio della cautela: nel dubbio, nessun rischio .

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