Il Monte Peglia offre un paesaggio incantevole dato dalle pinete che gli conferiscono una particolare atmosfera alpina, dai fitti boschi che ricoprono la sue pendici e da una notevole valenza naturalistica viste le specie di animali e vegetali, anche d’interesse comunitario, presenti. E’ questa la sua essenza ed andrebbe conservata e valorizzata. Cosa che, come denunciato in un mio precedente intervento sulle pagine di Tam Tam (aprile 2006), non avviene. Torno sull’argomento perchè da allora nulla è stato fatto, neppure l’annunciata presentazione pubblica del piano di gestione forestale.
Ciò premesso, ribadisco a gran voce che i tagli indiscriminati, massicci e consumistici dei boschi del Peglia sono un enorme sbaglio tecnico e politico. Non è che io sia contraria al taglio del bosco ceduo ma contesto il come, il dove e il perché viene realizzato in maniera tanto drastica da un ente pubblico su boschi pubblici.
Il piano dei tagli non è stato fatto previa una seria valutazione d’impatto ambientale e paesaggistico: si può infatti osservare come si tagli soprattutto in vicinanza di strade e nelle zone più visibili, come vengano abbattute anche le querce secolari; questo solo per un fatto di comodità ed utilità consumistica e non valutando che si distruggono chilometri di strade rurali, si creano strade per l’esbosco e grandi piazzole di manovra. Ho contato, in meno di 5 chilometri quadrati di bosco, ben 7 strade aperte e tre o quattro piazzole.
Questa si chiama distruzione dell’ambiente e del paesaggio, scomparsa della piccola fauna e rischio di frane e smottamenti e vale sia per pochi che per tanti ettari. Non è la quantità, è il principio che è sbagliato. L’ente pubblico deve essere d’esempio al privato, invece, nel nostro caso avviene l’esatto contrario.
Ma il fatto è che il taglio dei boschi del Peglia che si sta effettuando è rivolto a “fare cassa”, a risanare gli squilibri di bilancio della Comunità Montana e non mira a realizzare un progetto di sviluppo per il territorio. Mi risulta che quest’anno si è arrivati a tagliare 210 ettari contro i 70/80 previsti dal piano di gestione forestale decennale! E perché, ad esempio, con i proventi non si ristruttura la ex colonia elioterapica di Ospedaletto in Ostello della Gioventù, così da avere una struttura ricettiva a basso costo per i giovani, o magari si avvia un piano di risanamento e reimpianto delle pinete?
Già, le pinete. Furono acquistate per sottrarle ai privati e renderle così fruibili a chiunque, ma anche per curarle e difenderle dalla loro naturale estinzione e sostituzione con il bosco autoctono di latifoglie. A questo mi riferisco quando affermo che non è stato fatto niente per conservarle; infatti, ad eccezione di qualche intervento sporadico per eliminare rami e piante secche e l’installazione, qua e là, di qualche panchina, a tutt’oggi, nonostante le numerose richieste, non si è fatto niente per salvaguardarle: sono stati soltanto affidati studi costosi e ripetitivi senza poi prendere decisioni.
Anche se dal punto di vista scientifico il pino nero è pianta pioniera di transizione, non autoctona e quindi destinata alla sostituzione naturale, la realtà nel territorio è molto più complessa. Le pinete sono il Monte Peglia: storia, paesaggio, ambiente, turismo, da cento anni tutto ruota intorno ad esse. Il problema è pertanto quello di trovare una strategia per mantenere la più importante peculiarità di quest’area. Il resto sono solo palliativi che lasciano il tempo che trovano o elucubrazioni teoriche non applicabili alle reali esigenze.
- Redazione
- 10 Gennaio 2007
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