Nell’ultima giornata del Todi Arte Festival, l’appuntamento con le interessanti novità artistiche della sezione teatrale dedicata alla drammaturgia contemporanea, si è concluso con lo spettacolo “Confessioni di una mente criminale”, liberamente tratto dall’omonimo romanzo (scritto da Danilo Pennone), diretto e interpretato da Alfredo Angelici.
Il passaggio da un romanzo raccontato in prima persona e la messa in scena teatrale è breve, e il risultato è l’intensa e dura storia della vita di un criminale.
Ambientato negli anni ’70, nell’epoca in cui “i Politici e i delinquenti se sò conosciuti, se sò presentati, se sò stati simpatici e se sò frequentati”, Natalino detto Er Sorcio, nato nel quartiere Prenestino, si muove ancora adolescente nel paesaggio desolante e con poche opportunità dell’estrema periferia romana: droga e scippi, rapine a mano armata e il coinvolgimento in un assassinio. Questa parte della sua vita viene rivissuta come un’ascesa gloriosa. È emblematico in questo senso quando il protagonista racconta di aver assistito ad uno stupro: questo fatto criminoso all’inizio lo turba. Ha un moto di disapprovazione. Poi diventa motivo di esaltazione, perché coprendo i colpevoli entrerà a far parte proprio di quella banda di stupratori.
Il carcere sarà inevitabile nella sua carriera di delinquente. E dopo questo periodo arriverà il momento della decadenza: ridotto a rovistare nell’immondizia per trovare da mangiare, vivendo tra assassini e prostitute, Natalino diventa consapevole del suo fallimento al punto che l’unica speranza che gli resta è che i suoi sogni possano essere brutti e pietosi per poter vedere, ad ogni risveglio, la sua vita sotto una luce diversa.
Lo spettacolo ha molto ritmo, sia per il dinamismo e vivacità dell’interpretazione di Angelici sia per le modalità di narrazione, in cui si alternano i monologhi del protagonista ai numerosi momenti musicali: i musicisti sul palco sono anche i compagni di Natalino, il Cric, il Molisano e il Capellino, e tra questi Danilo Pennone, autore del testo, suona mandolino, ukulele e chitarra, Marco Turriziani, voce e chitarra e Salvatore Zambataro, clarinetto e fisarmonica.
La pièce fa riflettere: su chi si perde e chi si salva, sulle possibilità che ha ognuno di noi, su quante interdipendenze legano tutti noi al luogo in cui si nasce e si cresce. E infine, ammette il protagonista, a lui sarebbe bastato, per riuscire a ritrovarsi, “soltanto un po’ d’affetto”.